mercoledì 18 febbraio 2015

Alla stazione in una mattina d'autunno- Giosuè Carducci

Oh quei fanali come s'inseguono
accidiosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su 'l fango!

Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
come un grande fantasma n'è intorno.

Dove e a che move questa, che affrettasi 
a' carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori 
o tormenti di speme lontana?

Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl' istanti gioiti e i ricordi.

Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com'ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei 

freni tentati rendono un lugubre
rintocco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.

E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno per l'ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su' vetri la pioggia.

Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansia, i fiammei 
occhi sbarra; immane pe 'l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.

Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
salutando scompar ne la tènebra.

O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra' floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!

Fremea la vita nel trepid'aere
fremea l'estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso

in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un'aureola
più belli del sole i miei sogni 
ricingean la persona gentile.

Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com'ebro, e mi tocco,
non  anch'io fossi dunque un fantasma.

Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l'anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.

Meglio a chi 'l senso smarrì de l'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi 
in un tedio che duri infinito.

Giosuè Carducci- Alla stazione in una mattina d'autunno


Nella lirica proposta, Carducci parte analizzando una sensazione realistica presente (si trova in stazione) per poi dare avvio alla sua fantasia, che si concretizza, in questo caso, con il ricordo della donna amata, per poi tornare solo alla fine alla realtà, quasi come si fosse svegliato da un sogno ad occhi aperti.

Il componimento inizia con un elenco di immagini tetre, per nulla rassicuranti: la pioggia, il plumbeo cielo, il fango, ed i fanali che si inseguono accidiosi, descrivendo una tipica città industriale (tanto è vero che il poeta si trova proprio in stazione, ed il treno è il simbolo stesso della modernità).
L'indugiare del poeta su elementi ''insignificanti'' della realtà di tutti i giorni, come il chiudersi degli sportelli, o i controllori del treno, o i freni, uniti alla descrizione iniziale, vogliono evidenziare il carattere fortemente negativo della modernità, che priva gli uomini di ogni possibile aspirazione al bello, sottolineando, al contrario, lo squallore della società.

Questa realtà disprezzata e squallida, viene inoltre associata da Carducci al colore nero, che, in questo contesto, si carica di significati profondi: con particolare cura, infatti, l'autore sottolinea come la ''morte della bellezza'' sia collegata inevitabilmente alla ''morte spirituale'' degli individui, che sono infatti rappresentati solo come fantasmi, che vagano, con i loro dolori  e tormenti, per la stazione.

Per fuggire a questa infelice condizione, il poeta si rifugia nel vagheggiamento di una realtà diversa, rievocando immagini liete della sua memoria, in particolare si concentra sulla figura della donna da lui amata, Lidia, che viene associata ad immagini positive, quali il raggio di sole, che le scalda dolcemente la guancia, la bellezza, il calore e la vitalità; tuttavia, questa ''fuga'' appare inevitabilmente temporale, tanto è vero che alla fine del testo, l'autore tornando in sè si tocca, per accertarsi che non sia diventato fantasma come gli altri, lui stesso.

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