giovedì 22 marzo 2018

PASSAGGI - ROSALIND KRAUSS (Cap.7) pt.2

Cap. 7: Doppio negativo: una nuova sintassi per la scultura

Generalmente si  pensa che capire a cosa un oggetto assomigli significhi dargli una forma e dunque proporre un'immagine (o modello) che ordini quello che prima appariva un insieme incoerente di fenomeni.

Attraverso la disposizione delle cose "una dopo l'altra", invece, i minimalisti  richiamano lo scorrere dei giorni, al quale non è associata una forma o una direzione, né un senso intrinseco.
Che cosa dunque si pone dietro a questa strategia compositiva?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo associare queste disposizioni di oggetti in sequenza realizzate da Donald Judd, a Marcel Duchamp ed ai readymades da lui realizzati circa 50 anni prima.

Questi artisti utilizzano infatti elementi di origine commerciale, evidentemente riportando in primo piano uno degli elementi caratteristici della poetica duchampiana. 
Tuttavia, la minimal art, al tempo stesso, si distanzia da questo atteggiamento: gli artisti pop (che si ispireranno a Duchamp) utilizzano immagini già fortemente connotate, come fotografie di stelle del cinema o fumetti, mentre i minimalisti utilizzano elementi slegati da qualsiasi significato specifico.
Questo permetterà loro di sviluppare un'altra concezione degli elementi di base della scultura per arrivare a scoprire che alcuni materiali potevano essere utilizzati senza che vi fosse l'impressione di una loro manipolazione. E proprio il fatto che questi oggetti non erano stati prodotti direttamente dagli artisti, ma dall'industria e addirittura per altri scopi, conferisce a questi oggetti una opacità naturale, ovvero, rende difficile poter leggere al loro interno un significato ulteriore oltre a quello banalmente evidente della loro funzione in quanto merce (ad esempio nel caso di un mattone, si parla evidentemente della sua funzione strutturale). 
Sono utilizzati oggetti assolutamente refrattari ad ogni tipo di significato, trattati esattamente come oggetti d'uso e non come veicoli d'espressione.
Combinando insieme queste diverse caratteristiche del readymade, gli artisti minimalisti formano degli insieme qualificabili come composizioni scultoree, costituiti da una assenza di rapporti gerarchici tra i diversi materiali, poiché tutti figli della produzione industriale, dunque uguali tra loro.
Proprio per questa omogeneità presente nell'essenza stessa di questi oggetti, gli schemi compositivi più adatti alla loro rappresentazione risultano essere ripetizione e progressione seriale, che eliminano, al tempo stesso, il bisogno di una focalizzazione sul singolo elemento ed i limiti legati all'essenza stessa dell'opera.
Mettere in rapporto elementi tra loro, senza porre l'attenzione su nessuno di essi in particolare, e senza dare una base logica all'intera operazione, elimina la necessità di un centro per l'opera stessa. 
L'opera ora ha una sua validità esistenziale, del tutto sconnessa da ogni forma di necessità interna ( di significato intrinseco delle forme).

Pt.1

mercoledì 21 marzo 2018

PASSAGGI - ROSALIND KRAUSS (Cap.7) pt.1

Cap. 7: Doppio negativo: una nuova sintassi per la scultura

Nel 1969 lo scultore Richard Serra realizza un video di tre minuti, intitolato Hand Catching Lead, caratterizzato dalla presenza di una mano che è totalmente protagonista dell'azione. 
La mano tenta di afferrare dei pezzi di metallo che cadono dall'alto verso il basso, dando origine ad un ritmo pulsante costituito dalla contrapposizione mano aperta/ pugno chiuso che definisce lo spazio ed il tempo.
A volte il gesto fallisce, e l'oggetto cade, altre volte riesce, ma questo risultato non altera minimamente la catena di eventi, in quanto dopo essere stato afferrato, l'oggetto viene di nuovo lasciato cadere, senza che questo "successo" venga riconosciuto in alcun modo.
L'elemento caratterizzante dell'opera è proprio questa coazione a ripetere, che prescinde il risultato dell'azione; ciò che conta è compiere e ripetere l'azione non il suo risultato.
Rendendo la ripetizione un elemento compositivo e fondante della sua opera, Serra si inserisce in una corrente artistica già presente e attiva da circa 8 anni.

Nel 1965, a proposito di queste tendenze volte alla ripetizione (rintracciabile anche nei dipinti di Frank Stella), lo scultore Donald Judd afferma che l'ordine non è razionale e soggiacente, ma è un ordine, come quello "di una cosa dopo l'altra". 
Utilizzando degli oggetti, concepiti come moduli, gli artisti tendono a disporli in successione per ottenere le loro opere.
Questa modalità permette di evitare una composizione relazionale propria dell'arte europea.
Stella afferma che la base della concezione dell'arte europea è l'equilibrio (il bilanciamento di ogni elemento in ogni parte del quadro), supportato da Judd che vede l'intero sistema dell'arte europea poggiare sul razionalismo, che costruisce sistemi a priori, ormai incapaci di descrivere il mondo.

Tramite la ripetizione, questi artisti trovano l'espediente per uscire da questo impasse e sottrarsi a qualsiasi forma di razionalismo predeterminato (Stella dalla fine degli anni '50 realizza dipinti con fasce identiche che riempiono lo spazio quasi meccanicamente, e Judd dall'inizio degli anni '60 con le sue sculture composte da file scatole fissate alla parete, a intervalli regolari).

Un altro artista legato a questa tendenza sarà Dan Flavin, che utilizza dei tubi fluorescenti disponibili in commercio. Questi tubi, assolutamente privi di significato, anzi addirittura resistenti ad una qualsiasi forma di significato, vengono collocati sulla parete isolati, legati tra loro (a coppie, a gruppi di tre,...). Questo utilizzo di un "oggetto trovato", in un sistema ripetitivo, era già stato uno degli elementi basilari degli scultori minimalisti.

giovedì 1 marzo 2018

Gli spaccapietre- Gustave Courbet



Gustave Courbet  (1819-1877) è uno dei più importanti artisti che operano a cavallo tra la prima e la seconda metà dell'800 in Europa. Egli riteneva che l'arte non dovesse chiudersi su se stessa ricercando la perfezione o celebrando un passato mitico e glorioso (ponendosi in polemica con il movimento idealista), ma dovesse lasciare una testimonianza del tempo al quale appartiene.
Per questo motivo egli si concentrerà su dei soggetti contemporanei, molto distanti da quelli tradizionali, che che saranno duramente criticati e respinti dalle mostre ufficiali: dopo il rifiuto di alcune sue opere all'esposizione del 1855, Courbet decide di esporre privatamente le proprie opere presso il padiglione del realismo, rompendo con la tradizionale concezione del "bello ideale" proposta dall'accademia ufficiale,
 ed apre l'arte ai "privati" (l'ingresso alla mostra era possibile attraverso l'acquisto di un biglietto dal costo simbolico, che però la differenzia dall'esposizione pubblica delle opere).

Nel dipinto "Gli spaccapietre", Courbet dipinge due uomini umili intenti a svolgere la loro mansione di spaccapietre, appunto. Come si è detto, l'arte tradizionale non avrebbe mai concepito dei soggetti appartenenti ad una classe sociale di così basso rango e, proprio per tale motivo, Courbet decide di rappresentare una scena di vita reale, alla quale aveva assistito in prima persona durante un viaggio in carrozza.
Proprio la realtà della rappresentazione è il soggetto dell'opera: è vera la fatica dei due uomini ed è realistica la rappresentazione della loro condizione.
La figura di sinistra, probabilmente un giovane, rappresentato mentre solleva una cesta di pietre, fa leva sul ginocchio e inarca la schiena, rendendo l'idea del grande sforzo richiesto per il lavoro, mentre l'uomo a destra, più maturo, ha la pelle più scura (abbronzata dal contatto continuo con il sole), rompe con un martello le pietre, con il capo coperto.
I loro abiti riflettono la loro condizione: dismessi, poco curati, con dei rammendi. 
Sulla destra è visibile il loro pasto, anche questo molto umile, del pane, una pentola e un cucchiaio.
L'artista decide di posizionare la scena su uno sfondo alto, per evitare che il fruitore possa concentrare la sua attenzione su dei dettagli poco rilevanti, spingendolo a riflettere profondamente sulle difficili condizioni di vita delle classi meno abbienti.
L'opera, che dunque risulta essere una dura critica alla società, non è tuttavia priva di una ricerca formale ben studiata. Sono infatti bene evidenti delle diagonali che danno ritmo e regolano l'intera composizione e che sono individuate dalla gamba flessa del giovane a sinistra, la zappa a terra tra i due protagonisti, il martello e la schiena dell'uomo a destra paralleli tra loro, e, la seconda zappa sulla sinistra, la schiena del giovane ed il braccio dell'uomo, orientate in direzione opposta, a fare da contraltare.
Volontariamente i volti dei due soggetti sono coperti, poichè Courbet non vuole porre su un piedistallo due soli individui, ma cerca di portare l'attenzione su tutti gli uomini costretti dalla società a vivere in queste condizioni disumane.

martedì 27 febbraio 2018

IL CORPO COME LINGUAGGIO (La "Body-art e storie simili)

Il corpo come linguaggioL'argomento del libro di Lea Vergine è volto all'indagine della "Body-art", intesa come un grande calderone all'interno del quale sono raccolte tendenze diverse, accomunate da elementi quali la perdita d'identità (intesa come frantumazione dell'io), la ribellione nei confronti del sistema (inteso come "potere forte"), l'assenza di una forma altruistica ed adulta di amore.
Il mettere in gioco il corpo in tal modo da parte di questi artisti, infatti, implica la ricerca di un amore, o quantomeno di una accettazione della propria persona, un cosiddetto "amore primario".
L'aggressività di molte di queste azioni, performance ed eventi, scaturisce proprio dalla mancanza di questa corrispondenza amorosa. Questo porta questi artisti a rivolgere il proprio amore verso se stessi, portando al narcisismo.
Questo tipo di arte, si pone come obbiettivo la riforma della cultura borghese, e la lotta al concetto di "Ready made" duchampiano, che pare ormai aver fagocitato l'intera produzione artistica, aprendo la possibilità per i prodotti in serie dell'industria, di porsi sullo stesso piano dei manufatti artistici.
Cercano testardamente un accadimento sensazionale, ma al tempo stesso analizzano ogni possibilità di ogni istante, usando una grande quantità di energia nelle loro ricerche.
La ricerca di un nuovo modo cognitivo e percettivo è alla base del loro lavoro, vogliono sperimentare tutte le possibilità che sono date all'uomo per conoscere ed esperire la realtà, attraverso loro personali esperienze autentiche, dunque dolorose. Le loro azioni si muovono tra voyeurismo ed esibizionismo, castrazione ed autoconservazione, sadismo e piacere masochistico.
Dal punto di vista psicologico, possiamo associare questi comportamenti alle nevrosi, paranoia, aspirazione all'onnipotenza, dissociazione, delirio.

La tecnologia giocherà un ruolo chiave in questo processo artistico, dato che spesso gli autori ricorreranno a cineprese e registratori per rendere più duratura la loro azione contingente; l'artista si pone come oggetto che utilizza, ed è consapevole di tale operazione, opponendosi alla fredda oggettualità del Ready made.
L'unico modo per conoscere il corpo umano è viverlo e sperimentare appieno le sue possibilità. Questo comporta la valorizzazione di tutte le azioni che possono essere compiute durante una giornata, dalle più spettacolari, alle più umili ed intime (la propria voce, il rapporto con i propri genitali, ricostruzioni del proprio passato), nel tentavo, appunto, di cogliere la totalità delle nostre possibilità.
Viene studiato l'uomo nella totalità delle sue possibili esistenze, nei suoi atti pii e osceni, il suo gusto per la decadenza e l'espiazione.

venerdì 22 dicembre 2017

Haiku #7

Respirare la leggerezza,
toccare la libertà,
assaporare l'assenza di limiti,
vedere la bellezza,
sentirsi vivi.
La felicità.

sabato 14 gennaio 2017

Sedicesima Quadriennale d’Arte

      
La Sedicesima Quadriennale d’Arte è una mostra allestita per esporre e promuovere l’arte contemporanea italiana, presso Palazzo delle Esposizioni, dal 13 ottobre 2016 all’8 gennaio 2017.
Image result for quadriennale romaLa Quadriennale d’Arte viene organizzata con cadenza di quattro anni dalla fondazione Quadriennale di Roma, che opera in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Comune di Roma. La prima mostra organizzata dalla fondazione ebbe luogo nel 1927. L’esigenza di questo tipo di esposizione nacque dalla volontà di dare maggior risalto alla questione dell’arte italiana, lasciando alla Biennale di Venezia il compito di fungere da vetrina per l’arte internazionale in Italia.
Caratteristica dell’attuale mostra è la grande importanza del “Fuori Quadriennale”, un laboratorio aperto per mesi,  concepito come una serie di mostre , incontri e dibattiti, distribuiti in circa trenta appuntamenti in tutta Roma, per cercare di dare il massimo risalto possibile alla contemporaneità artistica italiana.
La mostra comprende 150 opere di 99 artisti, distribuite in 10 sezioni, ognuna delle quali è concepita come una “mostra” a sé stante, che approfondisce una particolare tematica. La gestione degli spazi espositivi è affidata ad undici curatori, tutti con esperienze di rilievo in Italia o all’estero, selezionati tra i trentotto che hanno deciso di presentare progetti per l’occasione. Tutti coloro i quali si sono impegnati a fornire i loro progetti hanno tutti una età inferiore ai cinquanta anni, indice della volontà di rappresentare solo il presente dell’arte italiana.
Gli undici curatori sono Michele D’Aurizio, Luigi Fassi, Simone Frangi, Luca Lo Pinto, Matteo Lucchetti, Marta Papini, Cristiana Perrella, Domenico Quaranta, Denis Viva, Simone Ciglia e Luigia Lonardelli (gli ultimi due hanno sviluppato il loro progetto insieme). Ognuno ha approfondito autonomamente una tematica nel proprio spazio espositivo ma tutti hanno seguito il “fil rouge” concettuale, da loro stessi elaborato, alla base della mostra: “Altri tempi, altri miti”, citazione tratta dal romanzo dello scrittore Pier Vittorio Tondelli, “Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta”.
“Altri tempi, altri miti” si trasforma, all’interno del progetto della mostra, da semplice citazione testuale a spunto critico, che spinge ad una riflessione sulle differenze che rappresentano una necessità inevitabile della società; misurarsi con l’altro o con se stessi durante il proprio percorso di crescita, analizzando i processi di innovazione e superamento rispetto al passato.
Ponendo come tema centrale l’analisi ed il confronto con l’alterità, si offre una possibile chiave interpretativa al fruitore, che viene invitato a concepire tutte le opere come parti di un discorso unitario, relativo all’intera mostra, invitando a spostare continuamente l’attenzione dal particolare al generale e viceversa.
Il primo ambiente al quale si ha accesso è la Rotonda, uno spazio comune, volto ad ospitare performance e dibattiti, ma anche concepito come punto nel quale si evidenzia subito una delle peculiarità fondamentali  della mostra: le quattro parole che compongono il tema (“Altri tempi, altri miti”) sono scritte sulle mura, in maniera tale che non si possano leggere in modo univoco e lineare, ma è possibile usare una qualsiasi delle parole come inizio, e creare una molteplicità di interpretazioni, tutte altrettanto valide, proprio perché la disposizione nello spazio lo permette. L’intera mostra infatti si pone come una provocazione al fruitore che si presenta nella “comoda”posizione di osservatore-giudice: sono chiamati in ballo tutti i sensi ed è soprattutto richiesta volontà di spogliarsi dei propri preconcetti e stare al gioco dell’artista, che a volte si diverte con il visitatore, chiedendogli di sdraiarsi a terra, accucciarsi o saltare per poter vedere le proprie opere.
La numerazione delle sale non vincola ad una visita “programmata”, poiché, anche in questo senso, il fruitore è chiamato a crearsi un proprio percorso secondo delle associazioni che possono risultargli più adatte e stimolanti. Si incita all’attività, rispetto alla tradizionale passività. La visita è un discorso all’interno del quale ogni elemento si inserisce con il proprio contributo, ed è dunque richiesto anche al fruitore di portare il proprio.

CYPHORIA     
Il nome della sala deriva dall’unione di “cyber” e “dysphoria” (uno stato di insoddisfazione e depressione). “Cyphoria” è un neologismo utilizzato per indicare la condizione di coloro i quali credono che internet sia il mondo reale; in questa sezione espositiva, il termine “dysphoria” viene intesa come la condizione di disagio causata da una vita che viene condizionata dalla tecnologia, un prodotto dell’uomo che, tuttavia, egli non è sempre in grado di gestire fino al punto di esserne sopraffatto.
Image result for quadriennale roma cyphoriaIl curatore Domenico Quaranta invita il fruitore all’interno della sala per coinvolgerlo in una riflessione riguardo il processo di continua evoluzione della tecnologia negli ultimi anni, e su come questa si rifletta nell’arte contemporanea italiana. Centrale è il concetto di evoluzione opposto a quello di rivoluzione. Mentre quest’ultima è concepita come un evento collocato in momento preciso nel tempo, l’evoluzione è intesa come progressivo mutamento e affinamento delle tecnologie, che hanno trasformato in maniera radicale la nostra vita. In questa “nuova” realtà, gli strumenti multimediali come il televisore, il cellulare o il computer, sono ormai dei medium universali di cultura.
La sezione tende a spostare il proprio campo di indagine dalla dimensione privata a quella pubblica e viceversa, in un costante rapporto dialettico volto a cogliere le differenze tra la drammatica realtà privata, vissuta in prima persona dall’individuo, e quella pubblica, destinata al “palcoscenico” del web. L’oggetto di indagine della sala consiste, sostanzialmente, nell’analisi del rapporto che si instaura tra “io” ed il mondo della rete.
L’ambiente che esprime questa analisi sembra essere stato concepito come un grande spazio pubblicitario: il fruitore viene travolto da una “cascata” di informazioni a partire dal suo ingresso, come se ogni opera fosse in competizione con le altre per attirare maggiormente l’attenzione.
Da questa impostazione “pubblicitaria” sembra sfuggire solo l’opera “Laocoon” di Davide Quayola. La sua posizione isolata, al centro dell’ambiente ed in asse con l’ingresso,  accentua la differenza rispetto a ciò che lo circonda: la scultura sembra ergersi come opera contemplativa, a difesa della classicità, intesa come tradizione artistica precedente alla tecnologia. Tuttavia, questo emblema viene modificato ed intaccato nella sua essenza; l’artista tratta il modello antico in maniera tale da farne perdere il significato originario, attraverso una digitalizzazione della forma, sia per quanto riguarda il processo di realizzazione dell’opera- attraverso l’impiego di moderne tecnologie- sia attraverso l’innesto di “costruzioni artificiali” sugli arti, simili ad elementi appartenenti alla tradizione video-ludica e digitale, che bloccano la forza espressiva del modello e  riformulano l’opera in maniera tale da privarla della sua organicità.
Dopo aver evidenziato come sia profondamente mutata la tradizione precedente, al fruitore sono proposte opere, per la quasi totalità, attraverso degli schermi, mezzi che quotidianamente propongono un modello culturale, ed un sistema di pensiero, senza possibilità di replica. Questo indirizzamento del pensiero conduce la società a prendere come modello a cui tendere dei prodotti specifici, indicati dalla pubblicità, come mostrano le opere di Mara Oscar Cassiani e Giovanni Fredi.
Mara Oscar Cassiani mostra come gli elevati standard estetici della nostra società portino ad una ricerca del benessere “frenetica”, per poter limitare gli effetti dello stress al quale si è quotidianamente sottoposti; questa ricerca comporta una mercificazione del mondo del benessere, che rende le Spa degli spazi lussuosi ed esclusivi.
Giovanni Fredi utilizza come medium un “Iphone” prodotto dalla “Apple”, una delle aziende più importanti a livello globale nel settore informatico, emblema dell’oggetto ambito e desiderato per eccellenza. L’artista analizza il bisogno umano di mostrarsi, che si riscontra in modo autentico e genuino, nei “selfies” (autoscatti) realizzati in un “Apple Store” da dei passanti che bloccano sul dispositivo il loro volto; Fredi estrapola dalla memoria del telefono solo alcuni delle migliaia di volti registrati e li ingrandisce fino a dargli un carattere ritrattistico, in tono ironico, dato lo scarso interesse che suscitano questi volti “anonimi”.
Dall’altro lato, la sala  analizza la condizione di isolamento ed estraniamento dell’uomo, causato da questa massiccia digitalizzazione. Il collettivo “Alterazioni Video”, formato da Paololuca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Matteo Erenbourg, Andrea Masu e Giacomo Porfiri, realizza un interno domestico, un salotto, nel quale è presente un televisore che trasmette immagini pubblicitarie di fronte ad un divano con tappezzeria militare, sul quale è steso un manichino (che si riconosce come tale solo da vicino, causando un sentimento di disagio ad una prima vista dell’opera) con la faccia contro il cuscino, quasi spaventato dalla sua stessa televisione, intento a nascondersi da quelle immagini e modelli ripetuti ed ormai stereotipati. La scritta sulla parete “NESSUNA VOGLIA DI ENTRARE NELLA STORIA”, si riferisce alla sentimento di estraneità che si può provare di fronte a questo tipo di realtà.
Queste sono solo alcune delle riflessioni proposte nella sala, che spinge notevolmente il fruitore ad uscire dalla sicurezza legata ad una esperienza museale tradizionale. Questa sezione espositiva parla la nostra stessa lingua, quella tecnologica, con la quale veniamo a contatto tutti i giorni, ma ne evidenzia le criticità e  ne mette in risalto gli aspetti problematici. Proprio per questo punto di vista “altro”, rispetto ad una realtà che si è soliti vivere nel proprio quotidiano, la sala si inserisce a pieno titolo nel grande “discorso” del tema della mostra, e rappresenta punto di partenza stimolante per una riflessione sulla società contemporanea.





“LOVE. L’arte contemporanea incontra l’amore”

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“LOVE. L’arte contemporanea incontra l’amore” è un’esposizione temporanea, presso il Chiostro Del Bramante a Roma,  dal 29 ottobre 2016 al 19 febbraio 2017, incentrata su una raccolta di opere di arte contemporanea legate al tema dell’amore.
La forza della mostra sta proprio nella scelta di un tema tanto universale come l’amore che, anche se con modalità diverse, incontra la vita di tutti prima o poi. Questo sentimento, che nasce come privato ed esclusivo, trova un grande spazio interamente dedicato, all’interno del quale non viene inteso in modo univoco, ma è rappresentato nelle sue diverse forme, attraverso le interpretazioni degli artisti, che ne evidenziano tutte le possibili sfaccettature: dolcezza, passione, gelosia, rabbia, malinconia, solo per citarne alcune.
In questo contesto, il pubblico gioca un ruolo fondamentale: non gli viene chiesto di visitare un museo, ma di vivere un’esperienza ricca di emozioni, provare sentimenti reali attraverso diversi stimoli. Diventa assolutamente protagonista, ad esempio, nel momento in cui lascia un proprio pensiero sulle pareti, concepite proprio per diventare una grande pagina che parla d’amore, attraverso le testimonianze di tutti, perché se è vero che le opere esposte degli artisti sono il motivo centrale dell’esposizione, riguardo l’amore non esistono specialisti o conoscitori più esperti di altri.
Un altro spunto che permette un’intensa partecipazione per il pubblico è la possibilità (che in realtà è un vero e proprio invito) di fotografare le opere, contrariamente alle tradizionali esposizioni artistiche, e di condividerle sui social network con l’hashtag ufficiale #chiostrlove, per trasportare l’esperienza museale nella realtà multimediale, evidenziando il continuo processo di evoluzione del museo, sempre più orientato all’integrazione con la tecnologia.
Il percorso nell’esposizione inizia proprio con le opere “LOVE” ed “AMOR” entrambe realizzate da Robert Indiana, che fa immergere immediatamente il fruitore nel clima della mostra: i due quadrati di lettere condensano il motivo principale dell’agire umano e del fare artistico (fare arte è sempre un atto d’amore) in due parole che si fanno materialmente concrete ed invadono lo spazio con forza ed irruenza, proprio le caratteristiche dell’amore nel momento in cui si manifesta per la prima volta.
All’interno, l’allestimento si presenta altamente provocante e quasi eccessivo, caratterizzato da moquette rosa e delle figure di amorini che segnalano il percorso al visitatore. Questa atmosfera volutamente kitsch è realizzata attraverso elementi convenzionalmente associati alla sfera del desiderio ma, al tempo stesso, provoca il visitatore, chiedendogli di comprendere le opere esposte nel profondo, senza fermarsi alla forma esteriore.
Danilo Eccher, il curatore della mostra nonché ex direttore della Galleria d’Arte di Bologna, ha volutamente creato un’atmosfera artificiale spinta all’estremo per dare l’impressione di un “paese dei balocchi contemporaneo” dove, tuttavia, l’atmosfera forzatamente festosa, nasconde, in realtà, un trattamento molto più riflessivo del tema. “Questa mostra non vuole dare risposte, ma permettere a chiunque di rivivere la dimensione dell’amore attraverso frammenti e suggestioni” afferma il curatore che, ispirandosi ai videogiochi, crea degli ambienti che sfidano l’intelletto del visitatore attraverso diversi stimoli, fino alla sala conclusiva, la più “instagrammata” della mostra, con l’esposizione di Yayoi Kusama “All the Ethernal Love I Have for the Pumpkins”, all’interno del quale il visitatore può meditare sul viaggio emozionale compiuto, circondato dalle proprie proiezioni, in uno spazio irreale.

LE OPERE
Il percorso della mostra viene spiegato attraverso le audio guide che, in via eccezionale, per questa mostra sono ben cinque: John, Coco, Amy, David e Lily, cinque compagni di viaggio che guideranno il visitatore attraverso le sale, cercando di rendere la visita leggera ma, al tempo stesso, accattivante e suggestiva.
Di seguito sono riportate alcune delle opere che meglio riescono a condurre il visitatore al cuore della mostra, colpendo direttamente la sfera emozionale più autentica, commuovendo, ma al tempo stesso proponendo delle riflessioni su determinati aspetti dell’amore, che gli artisti hanno condensato nelle loro creazioni, per poter comunicare universalmente le loro esperienze.
L’opera “Smoker #3” di Tom Wesselmann rappresenta  una bocca femminile intenta a fumare. Queste labbra, con un acceso senso erotico e sensuale, vengono considerate proprio per il desiderio che queste suscitano nell’amante. Quello rappresentato è un amore carnale, attraente quanto inafferrabile, proprio come il fumo che si perde nell’aria. L’artista indaga la figura della “femme fatale”, attraverso una sua rappresentazione stereotipata ereditata dal mondo del cinema, l’ideale della donna che sfugge e, nella sua indipendente supremazia, non si cura delle angosce che infligge all’amante.
Joana Vasconncelos, con il suo “Red indipendet Heart #3”, riesce ad esprimere in pochi secondi, attraverso la lentezza della rotazione del cuore e la malinconia della melodia del fado, il lamento per la perdita della genuinità dell’amore, che si è smarrito nella banalità dei luoghi comuni quotidiani. Proprio attraverso elementi di poco conto, quali posate di plastica rosse, l’artista realizza il suo grande cuore, riccamente ornato, simbolo della perfezione e della ineguagliabile bellezza del sentimento originario, troppo svilito dalla ripetitività.
In “VBSS.003.MP”, Vanessa Beecroft celebra la donna e la possibilità di un amore multiculturale, emblema della famiglia moderna. La figura femminile è presentata con la stessa ieraticità di una scultura sacra, e sembra legarsi direttamente alla rappresentazione del tema della “Madonna con bambino”, proponendo, tuttavia, una nuova scena di epifania, dove l’elemento divino viene rintracciato nell’universalità dell’amore che riesce a scavalcare le barriere  dettate dalle differenze culturali.
Anche Marc Quinn, ispirandosi a modelli secolari (alla statuaria classica in questo caso) realizza attraverso una forma “antica” un’opera tanto attuale quanto commovente: “Kiss”, la rappresentazione di un bacio tra due portatori di handicap realmente sposati. Il merito dell’artista sta nella resa assolutamente dignitosa del soggetto, che non viene osservato da un punto di vista superiore, evitando di cadere in un facile pietismo. Attraverso il trattamento serio del soggetto, emerge chiaramente la volontà  di considerare l’amore Vero, nella sua concreta imperfezione, e non come sentimento astratto, lontano dalla reale esperienza vissuta.
Image result for mostra loveL’ultimo ambiente ospita l’installazione “All the Eternal Love I Have fot the Pumpikns” realizzata da Yayoi Kusama. La sala è gremita di zucche-lanterne a pois e delimitata da pareti di specchi che danno la sensazione di trovarsi in uno spazio irreale ed infinito, che sfugge alla comprensione razionale, all’interno del quale l’artista chiede di abbandonarsi. Solo immergendosi completamente in questa esperienza si può comprendere lo spunto proposto dall’autrice, che invita a riflettere sulla differenza tra la realtà concreta e le costruzioni illusorie, che spesso si confondono nelle prima fasi dell’innamoramento.
Nel complesso, il merito più grande della mostra è la capacità di trattare un tema semplice ma, al tempo stesso, delicato come l’amore senza cadere in una eccessiva sdolcinatezza, anzi riuscendo a sviscerare le sensazioni ad esso associate in maniera coerente e completa. Risulta vincente la sfida che vede il sentimento come nucleo fondamentale di una esposizione, poiché si allarga la fascia del pubblico interessato a fruire questo tipo di esperienza, e la visita stessa diventa un percorso di scoperta dell’arte quanto della propria interiorità.