venerdì 20 febbraio 2015

Frase del giorno

-Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al "perché?". Che cosa significa nichilismo? – che i valori supremi perdono ogni valore   
Friedrich Nietzsche 

La libertà che guida il popolo- Eugene Delacroix


La libertà che guida il popolo- Eugene Delacroix (1830)

Con il dipinto riportato, Eugene Delacroix vuole lasciare una traccia tangibile di quello che il popolo francese sta facendo, della storicità della Rivoluzione.
L'artista si dimostra molto aperto rispetto alle tecniche artistiche più innovative: è evidente il taglio fotografico (ricordiamo che la fotografia si svilupperà proprio intorno agli anni 30, con la prima foto del 1827, che impiegò circa 8 ore per essere impressa sulla pellicola) che Delacroix sceglie per rappresentare la scena, portando ad una immedesimazione del fruitore, il quale si vede direttamente catapultato all'interno della scena rappresentata.
Con questa scelta, inoltre, l'artista riesce a rappresentare l'immediatezza del momento, lasciando capire che i personaggi non sono in posa, come testimonia il giovane sulla sinistra (del quale si intravede solo la testa) che sembra essere stato ''tagliato fuori'' dalla scena.

La struttura dell'opera è fondamentalmente piramidale: la rappresentazione allegorica della libertà rappresenta il centro del dipinto, ed il suo braccio destro è il vertice della piramide, 
che vede i suoi assi portanti costituiti, a destra, dal braccio sinistro della donna, dalla fascia bianca del ragazzo e un corpo a terra, a sinistra, dall'asta della bandiera, dalla sciabola dello studente, il fucile del borghese ed il volto di un giovane a terra.

La rivolta è guidata dai borghesi, ma sono presenti tutte le classi sociali, andando a formare un agglomerato popolare che rappresenta tutti i francesi; questa moltitudine viene indicata dall'autore come una massa indefinita di persone che si perdono nel fumo della polvere da sparo, aumentando la sensazione di indefinitezza.

In primissimo piano sono posti due corpi distesi:
  1. sulla destra si trova il corpo del nemico, probabilmente una guardia svizzera a giudicare dall'abbigliamento;
  2. sulla sinistra si trova un giovane rivoltoso semi nudo, che presenta un particolare che rende il corpo macabro e tetro: un calzino, che simboleggia la drammaticità della scena (al pari della scelta di Gericault in ''La zattera della Medusa'').
I corpi si presentano opposti l'uno rispetto all'altro, ed in particolare, risultano leggermente più bassi rispetto ai protagonisti della rivolta, che si stanno muovendo verso il fruitore, portando chi osserva l'opera a sentirsi quasi ''travolto'' dall'ondata dei rivoltosi; questa particolare scelta crea una finzione ottica: sembra, infatti, che i personaggi del dipinto possano uscire dalla tela ed entrare in contatto diretto con il mondo esterno, amplificando il coinvolgimento emotivo del fruitore.

Al centro del dipinto è presente la rappresentazione allegorica della Libertà, che tuttavia, non viene raffigurata attraverso gli stereotipo ed i modelli classici e tradizionali: essa presenta i tratti di una popolana, con le gote arrossate, i cappelli non in ordine ed i peli sotto le ascelle.
Questo evidenza come Delacroix voglia mettere al centro del dipinto una donna comune, sostituendola alla figura tradizionalmente legata ad una immagine di perfezione ideale.

giovedì 19 febbraio 2015

Frase del giorno

-La logica è legata a questa condizione: supporre che si diano casi identici, perché senza costanti l'uomo non può sopravvivere    
Friedrich Nietzsche 

Mesta ed errabonda- Charles Baudelaire

Dimmi, talvolta ti s'invola nel cuore,
Agata, lungi dall'oceano nero
dell'immonda città, teso a un diverso
di sfavillante luce oceano, chiaro
come verginità, profondo e azzurro?
Dimmi, talvolta ti s'invola il cuore?
Consola le fatiche nostre il mare!
il vasto mare! e quale mai demonio
questa virtù sublime d'assopirci
ha dato al mare, rauco canto cui
fa eco, in alto, il suono rimbombante
dell'organo grandissimo dei venti?
Consola le fatiche nostre il mare!
il vasto mare! Via, portami via,
o vagone! e tu, nave, via, lontano,
più lontano! Dei nostri pianti è fatto
questo fango! - E' poi vero che talvolta
il cuor d'Agata triste dica: Lungi
dai rimorsi, dai crimini, da tutti
i dolori, o vagone, via lontano
rapiscimi, e tu, nave, più lontano?
Come lontano sei mio paradiso
profumato, ove sotto un cielo terso
tutto non è che amore e gioia, dove
ciò che si ama è sempre degno d'essere
amato! dove il cuor sprofonda
nel mare della pura voluttà!
Come lontano sei mio paradiso
profumato! Ma il verde paradiso
degli amori infantili, le canzoni,
le corse, i baci, i fiori, i violini
che vibrano al riparo di colline,
gli orci di vino fra i boschetti, a sera,
-Ma il verde paradiso degli amori
infantili, innocente paradiso
di furtivi piaceri pieno, è forse
più lontano dell'India e della Cina?
Si potrà rievocarlo con le grida
lamentose e animarlo ancor con una
voce argentina, il paradiso pieno
di furtivi piaceri ed innocente?

Charles Baudelaire- Mesta ed errabonda

La lirica proposta si fonda, sostanzialmente, sull'opposizione tra la città (descritta come un ''nero oceano'') e gli splendidi mari tropicali (che sono metafora per una qualsiasi realtà alternativa a quella contemporanea all'autore) descritti come ''paradisi profumati''.
La città risulta, agli occhi dell'autore, corrosa dall'interno ed irredimibile: dopo che il denaro ha assunto un ruolo sempre più centrale nella vita degli uomini, arrivando addirittura a prendere il posto degli altri valori (quali l'altruismo, la bontà, la bellezza...), il poeta riesce a percepire questa situazione attraverso la sua particolare sensibilità, e cerca di ''fuggire'' da tale realtà, proiettandosi in paradisi esotici in grado di mascherare le brutture della società (collegandosi al tema del viaggio, non a caso, Baudelaire utilizza figure quali la nave, o il vagone, macchine simbolo della modernità, ma al tempo stesso strumenti necessari per raggiungere località esotiche ed incontaminate).

La città assume caratteristiche maggiormente tetre e paurose attraverso il dominio del colore nero nella sua descrizione: essa è un ''nero oceano'', dove proprio  il termine ''nero'' vuole sottolineare la morte di ogni valore, e di ogni componente spirituale degli uomini.
Contrapposta a questa realtà squallida, i paradisi  tropicali, si caricano allora di un valore aggiuntivo: essi diventano luogo della gioia innocente e infantile, permettendo all'uomo un ritorno inaspettato alla sua condizione di fanciullo, ignorando quella condizione di degrado e malessere del suo tempo.

Naturalmente questo viaggio esotico e il recupero dei valori infantili non è possibile, dato che, in maniera molto eloquente, proprio l'autore, nel verso finale del componimento, si chiede (con una domanda che sembra retorica e carica di ironia) se sia effettivamente possibile tornare a quella condizione.

Congiura dei Lampugnani- Francesco Hayez


Congiura dei Lampugnani- Francesco Hayez (1826)

Il soggetto è tratto dalla storia milanese, e si riferisce agli avvenimenti del 1476.
Hayez rappresenta il momento immediatamente precedente all'epilogo di una congiura capitanata dal giovane protagonista dell'opera (quello in primo piano a sinistra) e dai suoi due compagni, che nel giorno di Santo Stefano, decidono di uccidere Galeazzo Maria Sforza, tiranno che opprimeva Milano.
La congiura avrà un finale drammatico: i giovani uccideranno Galeazzo, ma saranno uccisi a loro volta, appesi per il collo e massacrati alle porte di Milano.

I giovani rappresentati costituiscono un nobile ''exemplum virtutis'' (esempio di virtù) che deve ispirare i cittadini in ogni tempo; in particolare Hayez vuole sostenere i moti carbonari, e affiancarsi a quelle tensioni legate al processo risorgimentale guidato, sostanzialmente, dalla volontà di liberarsi dalle oppressioni e dallo straniero da parte dei cittadini italiani.

L' opera è molto suggestiva e porta il fruitore ad una immedesimazione grazie all'alternarsi di parti fortemente adombrate (soprattutto sulla destra), e colpi di luce (ad esempio il ''raggio'' che illumina il protagonista).
Questa suggestione porta il fruitore a sentirsi partecipe dell'opera e della tensione del momento; ad aumentare l'apprensione sono le espressioni dei giovani, che sono ancora dubbiosi su quello che stanno per fare, e l'invocazione di Colamontano (il personaggio di spalle, un illuminista noto del tempo), che invoca Sant' Ambrogio pregandolo di aiutare i giovani a compiere la loro impresa.

La tensione è, inoltre, somatizzata sui corpi dei giovani, e la si percepisce dalle pose che assumono; tuttavia, la loro postura sembra troppo esagerata, quasi come se stessero, recitando (tanto è vero che il pittore dipinge i giovani ispirandosi al teatro di Verdi, come si può notare dai costumi indossati dai protagonisti, dalla scelta di rappresentare l'interno della chiesa gotico, anche se questa era una chiesa barocca, e dalle posture assunte).

mercoledì 18 febbraio 2015

Alla stazione in una mattina d'autunno- Giosuè Carducci

Oh quei fanali come s'inseguono
accidiosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su 'l fango!

Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
come un grande fantasma n'è intorno.

Dove e a che move questa, che affrettasi 
a' carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori 
o tormenti di speme lontana?

Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl' istanti gioiti e i ricordi.

Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com'ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei 

freni tentati rendono un lugubre
rintocco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.

E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno per l'ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su' vetri la pioggia.

Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansia, i fiammei 
occhi sbarra; immane pe 'l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.

Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
salutando scompar ne la tènebra.

O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra' floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!

Fremea la vita nel trepid'aere
fremea l'estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso

in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un'aureola
più belli del sole i miei sogni 
ricingean la persona gentile.

Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com'ebro, e mi tocco,
non  anch'io fossi dunque un fantasma.

Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l'anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.

Meglio a chi 'l senso smarrì de l'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi 
in un tedio che duri infinito.

Giosuè Carducci- Alla stazione in una mattina d'autunno


Nella lirica proposta, Carducci parte analizzando una sensazione realistica presente (si trova in stazione) per poi dare avvio alla sua fantasia, che si concretizza, in questo caso, con il ricordo della donna amata, per poi tornare solo alla fine alla realtà, quasi come si fosse svegliato da un sogno ad occhi aperti.

Il componimento inizia con un elenco di immagini tetre, per nulla rassicuranti: la pioggia, il plumbeo cielo, il fango, ed i fanali che si inseguono accidiosi, descrivendo una tipica città industriale (tanto è vero che il poeta si trova proprio in stazione, ed il treno è il simbolo stesso della modernità).
L'indugiare del poeta su elementi ''insignificanti'' della realtà di tutti i giorni, come il chiudersi degli sportelli, o i controllori del treno, o i freni, uniti alla descrizione iniziale, vogliono evidenziare il carattere fortemente negativo della modernità, che priva gli uomini di ogni possibile aspirazione al bello, sottolineando, al contrario, lo squallore della società.

Questa realtà disprezzata e squallida, viene inoltre associata da Carducci al colore nero, che, in questo contesto, si carica di significati profondi: con particolare cura, infatti, l'autore sottolinea come la ''morte della bellezza'' sia collegata inevitabilmente alla ''morte spirituale'' degli individui, che sono infatti rappresentati solo come fantasmi, che vagano, con i loro dolori  e tormenti, per la stazione.

Per fuggire a questa infelice condizione, il poeta si rifugia nel vagheggiamento di una realtà diversa, rievocando immagini liete della sua memoria, in particolare si concentra sulla figura della donna da lui amata, Lidia, che viene associata ad immagini positive, quali il raggio di sole, che le scalda dolcemente la guancia, la bellezza, il calore e la vitalità; tuttavia, questa ''fuga'' appare inevitabilmente temporale, tanto è vero che alla fine del testo, l'autore tornando in sè si tocca, per accertarsi che non sia diventato fantasma come gli altri, lui stesso.

Il bacio- Francesco Hayez


Francesco Hayez- Il bacio (1859)

Nel dipinto riportato, Hayez rappresenta due giovani amanti che si baciano, probabilmente dicendosi addio, come si può dedurre dalla posizione della gamba di lui, posta sul primo gradino di una scalinata, e dal suo abbigliamento (indossa il mantello ed il cappello).

L'ambiente in cui i due giovani sono posti, è un ambiente medievale semplice, che non offre ''distrazioni'' al fruitore, aiutandolo, al contrario, a concentrarsi meglio sui personaggi e sul loro valore simbolico; sono presenti infatti delle grandi ombre sulla sinistra (costituita da una porta) e sulla destra (costruita attraverso un' esagerazione delle ombre dei due giovani) che portano ad una immedesimazione nel dipinto.
Il coinvolgimento nel dipinto è, inoltre, accentuato dai volti degli amanti coperti: non sappiamo chi
effettivamente essi siano, ne siamo allo scuro; il fruitore può inoltre percepire una sensazione di incertezza per il futuro, dato che non è a conoscenza della destinazione del giovane che sta partendo.

La critica indica l'uomo come un cospiratore: a giudicare dai colori dominanti nel dipinto (rosso, blu, bianco e verde), infatti, sembra che Hayez si stia riferendo agli accordi segreti del 1858 (firmati a Plombières) stipulati tra Italia e Francia (rispettivamente tra Cavour e Napoleone III) per cacciare gli austriaci dal territorio italiano.

Frase del giorno

-Eterna risorge sempre la speranza, come un fungo velenoso.
Charles Bukowski

martedì 17 febbraio 2015

Frase del giorno

-Io vorrei farti dormire, ma come i personaggi delle favole, che dormono per svegliarsi solo il giorno in cui saranno felici. Ma succederà così anche a te. Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani.

Fyodor Dostoevsky

Pianto antico- Giosuè Carducci

L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da' bei vermigli fior,

nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e calor.

Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l'inutil vita
estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
nè il sol più ti rallegra
nè ti risveglia amor.

Giosuè Carducci- Pianto antico

Il componimento viene scritto da Carducci nel 1871, a seguito della morte del figlio Dante.

La lirica riportata presenta la tematica dell'opposizione tra vita e morte (ravvisabile anche nel contrasto luce- ombra), simile a quello presente nel testo ''San Martino''.
Le due strofe iniziali portano il lettore ad immedesimarsi in un ambiente vitale e piacevole, confortandolo, attraverso l'uso di immagini positive quali l'albero, il verde (colore della vita), il mese di giugno, la luce ed il calore.
Le ultime strofe sono invece caratterizzate dall'assenza di vita, come testimoniano i termini ''inaridita'', ''unico fior'', ''fredda'', ''negra'', e l'assenza di allegria e amore.

Nonostante nelle prime strofe sembra dominare una serie di immagini solari, o comunque legate alla vita, se si fa attenzione, si può cogliere come anche le immagini della vita quotidiana ritenute ''positive'', siano in realtà ''intaccate'' dalla sensazione di morte e di mancanza che assale il poeta; così l'orto ora è muto, e nessun suono potrà mai restituire il suono del bimbo che giocava al padre, affranto e disperato.

A sottolineare la perdita di punti fermi e la vanità dei valori tradizionalmente ritenuti positivi, l'autore pone la parola ''amor'' a chiudere la lirica. Questo termine si carica di significati diversi da quelli abituali, in quanto non rimanda a sensazioni benefiche per l'animo, anzi, al contrario porta a una sensazione di malinconia quasi ''feroce'' che vuole sottolineare l'impotenza del poeta di fronte alla situazione: nemmeno il suo amore immenso per il figlio (quello che qualsiasi genitore prova per il proprio figlio, un amore viscerale) può portare indietro il suo bambino.

Bonaparte valica il Gran San Bernardo- Jacques Louis David


Bonaparte valica il Gran San Bernardo- Jacques Louis David (1800)

Il dipinto originario viene commissionato a David dal re di Spagna Carlo IV che vuole i ritratti dei più grandi condottieri della storia; il modello iniziale che poserà dunque per l'artista, non sarà Napoleone, il quale presterà tuttavia la sua armatura e la sua uniforme.
Solo dopo aver visionato l'opera completa, e dopo esserne rimasto particolarmente colpito, l'imperatore francese accetterà di posare e chiederà a David altre tre copie del dipinto.

David non vuole rappresentare un dipinto realista; non c'è interesse nella rappresentazione della realtà per come essa è, dato che l'artista vuole celebrare la figura di Napoleone, per entrare nelle sue grazie (finalità adulatoria).
L'idealizzazione della scena è resa evidente dal destriero cavalcato dall'imperatore: al posto del poderoso cavalo bianco, qui riportato, Bonaparte valicò il Gran San Bernardo su un asino, che evidentemente non avrebbe reso la figura di Napoleone potente e nobile, anzi probabilmente, lo avrebbe messo in ridicolo.

L'ideale di grandezza collegato a Napoleone è anche accentuato dallo squilibrio che presenta il dipinto verso sinistra, la direzione indicata dal soggetto stesso: si vuole trasmettere un senso di fiducia per Bonaparte, ritenuto in grado di guidare la nazione verso il futuro con impareggiabile maestria.
Il nome dell'imperatore è, inoltre, posto sotto i nomi di Annibale e Carlo Magno (sul masso in primo piano) proprio per sottolineare la sua grandezza ed il suo valore.

lunedì 16 febbraio 2015

Frase del giorno

-Siamo sempre, tragicamente soli, come spuma delle onde che si illude di essere sposa del mare e invece non è che concubina.
Charles Baudelaire 

San Martino- Giosuè Carducci

La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

 ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor de i vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.

Giosuè Carducci- San Martino (1883)

La poesia descrive in maniera rapida il paesaggio circostante, individuandone le caratteristiche principali (in maniera simile a quella che sarà adottata da Pascoli e che si è soliti definire ''impressionistica'').
La lirica tuttavia, nasconde significati che possono essere colti solo ''scavando'' più a fondo nel testo.

La prima strofa è collegata ad un senso di morte che sembra aleggiare sui colli che vengono definiti ''irti'', proprio ad indicare il carattere minaccioso delle fronde spoglie degli alberi; la natura, inoltre, trasmette un senso di angoscia e inquietudine nel lettore, che vede il suo culmine nell' urlo del mare, descritto come una creatura aggressiva.
Le strofe centrali portano invece il lettore a pensare a delle immagini, liete, solari, legate alla vita quotidiana (vino...), confortando l'animo inizialmente spaventato.
L'ultima strofa si ricollega a quella iniziale: sono dunque rievocate le immagini di morte, caratterizzate dagli uccelli neri, paragonati a tetri pensieri che vanno a morire verso l'ignoto.

Appare dunque chiaro come la presenza di immagini e pensieri legati alla morte porti l'autore a cercare riparo nelle immagini della vita di tutti i giorni, sperando di trovare un rifugio sicuro, nel quale sentirsi protetto; tuttavia queste figure sono solo illusorie e non riescono a distogliere il poeta dal pensiero quasi opprimente delle morte, sentita come ''urgente'' e per questo spesso rievocata, portando il lettore a pensare che l'angoscia per la morte trionfi (anche attraverso la posizione delle strofe relative ad essa, I e IV, rispettivamente ad aprire e chiudere il testo).


Morte di Marat- Jacques Luois David


Morte di Marat- Jacques Louis David (1793)

David vuole lasciare una testimonianza concreta del fermento sociale e delle sommosse popolari legate alla Rivoluzione Francese (1789-1799).
In particolare,nell'opera riportata vuole rendere omaggio al suo amico Marat, il quale era schierato apertamente dalla parte del popolo (che aiutava anche attraverso prestiti di denaro), e ucciso a tradimento dagli oppositori; il carnefice sarà una donna, Charlotte Corday, la quale si fingerà una bisognosa di aiuto e sarà dunque ospitata da Marat nella sua dimora.

L'assassinio avviene nella sala da bagno dove Marat era solito trascorrere molte ore delle sue giornate, dato che era affetto da una patologia della pelle, che lo costringeva a stare immerso per molto tempo nella vasca da bagno (per questo motivo, egli aveva allestito tale stanza come un vero e proprio ufficio).
La lettera con la quale la donna che lo ucciderà chiede all'avvocato aiuto, è posta da David in mano allo stesso Marat, come se volesse rappresentare una prova sull'identità del suo carnefice (la lettera è inoltre posta al centro del dipinto, a sottolinearne l'importanza).
Contrapposta a questa, David inserisce una seconda lettera sul comodino davanti la vasca; quest'ultima rappresenta un assegno con il quale Marat si impegnava a prestare del denaro ad una donna con 5 figli, a simboleggiare il carattere altruista del defunto, elevandolo quasi alla condizione di martire.

Nonostante Marat avesse allestito il suo bagno come un vero e proprio studio (ponendo cartine geografiche, appunti, carta da parati..), David sceglie di rappresentare solo gli elementi più essenziali ed indispensabili per proiettare il fruitore all'interno del dipinto e far concentrare la sua attenzione esclusivamente sul soggetto del dipinto (depurando dunque lo spazio).

Il motivo del braccio destro abbandonato e privo di vita viene sapientemente ripreso dalla ''Pietà'' di Michelangelo, e dalla ''Deposizione'' di Caravaggio, accentuando dunque il carattere di martire di Marat.

Elemento fortemente simbolico è la contrapposizione tra la penna tenuta in mano dal defunto, usata dallo stesso per fare del bene, ed a terra il coltello insanguinato, arma del delitto.

sabato 14 febbraio 2015

Frase del giorno

Siamo tutti nati nel fango, ma alcuni di noi guardano alle stelle. 
(Oscar Wilde)

venerdì 13 febbraio 2015

Frase del giorno

- Per l'uomo non c'è altro inferno che la stupidità e la malvagità dei suoi simili.

 (Marchese de Sade)

giovedì 12 febbraio 2015

Frase del giorno

- L'ozio è il principio di tutti i vizi, il coronamento di tutte le virtù.
Franz Kafka 

Theodore Gericault- La zattera della Medusa


Theodore Gericault -La zattera della Medusa

Nel dipinto riportato, Gericault vuole denunciare un evento realmente accaduto: infatti, nonostante l'opera si esposta nel 1819 (stesso periodo dei grandi artisti romantici inglesi), in Francia il Romanticismo darà una spinta innovatrice, portando a una rappresentazione più incentrata sulle emozioni, tuttavia, la pittura francese, non si discosterà dal racconto come invece accade in inghilterra (ad esempio con Turner).

L'evento descritto risale al 1816: tre navi francesi dovevano dirigersi in Senegal, per colonizzare il territorio; tuttavia una di queste tre navi, la Medusa, a causa dell'incompetenza del capitano, scelto da Napoleone III, resta intrappolata in una zona dal fondale troppo basso.
A questo punto le personalità più abbienti vengono tratte in salvo sulle scialuppe di emergenza, mentre il resto dell'equipaggio viene lasciato alla deriva sulla grossa zattera costruita a partire dal ponte della nave.
La barca resterà in mare per 12 giorni, dopo i quali, la nave Argo riuscirà a salvare i soli 15 superstiti.

L'opera sarà criticata per il suo carattere provocatorio, ma anche poichè le sue dimensioni (7,8 x 4,9) erano generalmente adibite alla rappresentazione di un'opera di carattere mitico, o storico.
A livello compositivo, la struttura dell'opera si basa su due piramidi:
  1. Una piramide composta dagli elementi strutturali della zattera (albero maestro, corde, base), che permettono al fruitore di trovarsi direttamente all'interno della scena;
  2. Una piramide umana, di emozioni, che vede sulla sinistra le figure più rassegnate, e sulla destra un crescendo di emozioni, dato che l'artista ritrae il momento successivo all'avvistamento della nave Argo che li avrebbe salvati.
Gericault sceglie di non rappresentare sulla tela la nave Argo, in quanto vuole suscitare nel fruitore un sentimento di speranza, legato alla speranza dei naufraghi, ma al tempo stesso paura e angoscia, dato che non sappiamo se effettivamente riusciranno a salvarsi.

L'opera presenta al tempo stesso elementi neoclassici e romantici; questo è legato al fatto che la tradizione classica si era radicata in maniera molto forte in Francia (e in Italia).
 -Elementi neoclassici: rigore compositivo, interesse per la nudità dei corpi rappresentata secondo         il rispetto dei canoni classici (il vertice della piramide umana è un elogio al ''torso del Belvedere'' di Michelangelo)
  -Elementi romantici: rappresentazione delle emozioni sui volti (opposto al rigore delle espressioni dei volti neoclassici), interesse nel descrivere nei dettagli più cruenti la vicenda (ad esempio il corpo a metà sulla sinistra, o il giovane retto dal padre che, apparentemente di gusto neoclassico, viene raffigurato con un calzino sul piede sinistro, che amplifica la drammaticità della scena).


mercoledì 11 febbraio 2015

Antonio Canova- Monumento funebre a Maria Cristina d'Austria


Antonio Canova- Monumento funebre a Maria Cristina d'Austria (1789-1805)

Secondo la tradizione rinascimentale, Canova rappresenta il defunto in un momento di vitalità (anche se generalmente, dal Bernini in poi, si era soliti rappresentarlo seduto ed orante), e lo pone al centro di un corteo funebre, quello della donna e delle sue virtù che la accompagnano nel viaggio ultraterreno.
Emblematica è la rappresentazione della morte come una porta oscura, in quanto nulla si sa riguardo ad essa; tuttavia la porta è al tempo stesso ingresso di una struttura piramidale che collega idealmente cielo e terra (come accadeva nella tradizione egizia).

Sopra l'architrave è posta la dedica del marito (arciduca Alberto di Sassonia) per la donna, mentre più in alto è presente un cammeo, sorretto da una fanciulla e un putto alato, che riporta all'interno il nome della defunta, ed è circondato da un serpente che si morde la coda, simbolo dell'infinito.

L'intera processione si muove seguendo la direzione di un sottile velo, che conduce all'interno della porta oscura, quasi ad indicare il destino di tutti gli uomini.
I personaggi presenti sono raggruppati in tre luoghi diversi:
  1. sulla sinistra possiamo individuare un uomo anziano cieco e una bambina, entrambi aiutati da una donna, che simboleggia la pietà della donna;
  2. al centro sono simboleggiate le virtù della donna;
  3. sulla destra vi è la rappresentazione allegorica della fortezza, attraverso l'utilizzo di un leone, sul quale si poggia un giovane alato che viene interpretato come la morta, oppure come il marito che si appoggia alla forza d'animo della moglie per continuare a vivere;
Evidente è l'assenza di sentimenti rappresentati, rendendo possibile una comprensione razionale dell'opera; è percepibile una lieve tristezza, tuttavia essa è filtrata attraverso la ragione, che la sottrae alla sua dimensione passionale e irrazionale, permettendo di contemplare la scena, invitando il fruitore ad una riflessione sulla morte.



Frase del giorno

- Nessuno commise un errore più grande di colui che non fece nulla perché poteva fare poco.
Edmund Burke

martedì 10 febbraio 2015

Antonio Canova- Amore e Psiche


Antonio Canova- Amore e Psiche (1787)

La scultura rappresenta Amore e Psiche giacenti, colti nell'attimo subito successivo al risveglio della giovane.
Secondo il mito, infatti, Eros, invaghito della donna, comincia una relazione con questa ad una condizione: Psiche non può vedere il volto di Eros.
Tuttavia, spinta dalla curiosità e dalle sorelle, la fanciulla guarda il volto di Eros, mentre egli giace al suo fianco; purtroppo, una goccia d'olio della lampada con la quale ella illumina il volto del dio, cola sulla guancia di quest'ultimo, il quale, infranto il patto, interrompe la relazione con la giovane.
Venere, madre di Eros, punisce la donna, facendole portare un vaso contenente le bellezza alla dea Proserpina; la giovane, rea di curiosità, una seconda volta, apre l'urna e cade in un sonno eterno.
Grazie all'amore del figlio verso la donna, Venere concederà le concederà la grazia, e i due amanti possono riabbracciarsi.

La scelta di Canova è emblematica: infatti lo scultore rappresenta il momento subito successivo al risveglio della donna, depurandolo di ogni carica emotiva e di ogni passione (rispettando i canoni del Neoclassicismo).
La scultura è ricca di sensualità, tuttavia questa è percepita attraverso il filtro della ragione: gli amanti sono bloccati in un momento depurato da emozioni, come simboleggiato dai volti privi di espressioni, in un abbraccio accennato e prima di un bacio, facendo prevalere la grazia e la calma alla passione.

Dal punto di vista compositivo, Canova rappresenta una perfetta costruzione a X (che garantisce stabilità ed equilibrio all'opera):
    -un braccio della X è costituito dall'ala destra di Eros, e dal corpo disteso della                   giovane;
    -il secondo braccio della X è costituito dall'ala sinistra e dalla gamba destra del dio.
L'abbraccio che si sta per chiudere tra i due amanti, forma un doppio anello che individua il centro della composizione.
Le ali, il panneggio delle vesti, le frecce sono levigati con strumenti raffinati e precisi, evidenziando la perfezione formale, che si vuole tradurre nella trasmissione di qualità morali.

Frase del giorno



- La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare.

 Jiddu Krishnamurti

lunedì 9 febbraio 2015

Antonio Canova- Teseo sul minotauro


Antonio Canova- Teseo sul minotauro

Il soggetto scelto da Canova per quest'opera è evidentemente classico, legato alla mitologia greca, e rappresenta Teseo che giace sul minotauro appena sconfitto.
Elemento centrale dell'opera è la rappresentazione di un momento depurato dalle passioni e da ogni tipo di coinvolgimento emotivo: si vogliono rappresentare, infatti, le qualità morali di Teseo (quali la sua bontà, il suo eroismo, il suo coraggio e la sua razionalità).
La posizione reciproca dei personaggi suggerisce un'importante considerazione: Teseo, rappresentazione della ragione, ha sconfitto il minotauro, rappresentazione dell'istinto e delle passioni, evidenziando il principio cardine del Neoclassicismo: la ragione è superiore alle emozioni e alle passioni, e solo attraverso l'utilizzo della ragione nel processo della creazione artistica, si può perseguire il ''bello assoluto''.

Il volto dell'eroe è assolutamente impassibile, come se l'evento appena accaduto non avesse toccato la sua calma interiore, manifestando dunque una serenità imperturbabile.
La composizione è perfettamente equilibrata: al corpo del minotauro proteso in avanti, si oppone quello di Teseo che presenta il busto inclinato in direzione opposta; al ginocchio destro piegato, si contrappone la clava retta dalla mano sinistra.

Un dettaglio molto rilevante che vuole sottolineare la superiorità della ragione sull'istinto è la lavorazione e l'attenzione che Canova pone rispetto ai corpi dell'eroe e del mostro: lo scultore lascia ruvida la superficie del corpo del minotauro, mentre quella di Teseo è perfettamente levigata, a indicare, ancora, la superiorità della ragione sulla parte irrazionale.


Giovanni Pascoli- Il tuono

IL TUONO

E nella notte nera come il nulla,

a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì, di madre, e il moto d'una culla.


Giovanni Pascoli- Il tuono

La lirica sembra il proseguimento del testo ''Il lampo'', come si può dedurre a partire da primo verso, ed in particolare da ''E'', e dalla ripresa dell'immagine della ''notte nera come il nulla''.
Entrambe le liriche, inoltre, presentano una forte componente relativa alla percezione sensoriale: in ''Il lampo'' prevalgono le percezioni visiva, mentre ne ''Il tuono'' prevalgono quelle uditive, che vogliono far immedesimare il lettore e fargli percepire l'atmosfera del temporale; il ritmo più calmo degli ultimi versi è probabilmente riconducibile alla fine del nubifragio.

Elemento centrale del testo è sicuramente il tuono, il cui rumore, rappresentato attraverso il valore fonico delle parole e il ritmo veloce dei versi, spaventa l'animo degli uomini che sono paragonati ai bambini: il tuono fa leva sulla parte più infantile dell'uomo e lo spaventa, riportandolo alla condizione puerile; a questo punto risulta centrale la figura del ''nido'', qui rappresentato dalla madre del bimbo, che consola l'infante dalla paura per il rumore, e l'uomo dalla durezza della vita.