sabato 14 gennaio 2017

Sedicesima Quadriennale d’Arte

      
La Sedicesima Quadriennale d’Arte è una mostra allestita per esporre e promuovere l’arte contemporanea italiana, presso Palazzo delle Esposizioni, dal 13 ottobre 2016 all’8 gennaio 2017.
Image result for quadriennale romaLa Quadriennale d’Arte viene organizzata con cadenza di quattro anni dalla fondazione Quadriennale di Roma, che opera in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Comune di Roma. La prima mostra organizzata dalla fondazione ebbe luogo nel 1927. L’esigenza di questo tipo di esposizione nacque dalla volontà di dare maggior risalto alla questione dell’arte italiana, lasciando alla Biennale di Venezia il compito di fungere da vetrina per l’arte internazionale in Italia.
Caratteristica dell’attuale mostra è la grande importanza del “Fuori Quadriennale”, un laboratorio aperto per mesi,  concepito come una serie di mostre , incontri e dibattiti, distribuiti in circa trenta appuntamenti in tutta Roma, per cercare di dare il massimo risalto possibile alla contemporaneità artistica italiana.
La mostra comprende 150 opere di 99 artisti, distribuite in 10 sezioni, ognuna delle quali è concepita come una “mostra” a sé stante, che approfondisce una particolare tematica. La gestione degli spazi espositivi è affidata ad undici curatori, tutti con esperienze di rilievo in Italia o all’estero, selezionati tra i trentotto che hanno deciso di presentare progetti per l’occasione. Tutti coloro i quali si sono impegnati a fornire i loro progetti hanno tutti una età inferiore ai cinquanta anni, indice della volontà di rappresentare solo il presente dell’arte italiana.
Gli undici curatori sono Michele D’Aurizio, Luigi Fassi, Simone Frangi, Luca Lo Pinto, Matteo Lucchetti, Marta Papini, Cristiana Perrella, Domenico Quaranta, Denis Viva, Simone Ciglia e Luigia Lonardelli (gli ultimi due hanno sviluppato il loro progetto insieme). Ognuno ha approfondito autonomamente una tematica nel proprio spazio espositivo ma tutti hanno seguito il “fil rouge” concettuale, da loro stessi elaborato, alla base della mostra: “Altri tempi, altri miti”, citazione tratta dal romanzo dello scrittore Pier Vittorio Tondelli, “Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta”.
“Altri tempi, altri miti” si trasforma, all’interno del progetto della mostra, da semplice citazione testuale a spunto critico, che spinge ad una riflessione sulle differenze che rappresentano una necessità inevitabile della società; misurarsi con l’altro o con se stessi durante il proprio percorso di crescita, analizzando i processi di innovazione e superamento rispetto al passato.
Ponendo come tema centrale l’analisi ed il confronto con l’alterità, si offre una possibile chiave interpretativa al fruitore, che viene invitato a concepire tutte le opere come parti di un discorso unitario, relativo all’intera mostra, invitando a spostare continuamente l’attenzione dal particolare al generale e viceversa.
Il primo ambiente al quale si ha accesso è la Rotonda, uno spazio comune, volto ad ospitare performance e dibattiti, ma anche concepito come punto nel quale si evidenzia subito una delle peculiarità fondamentali  della mostra: le quattro parole che compongono il tema (“Altri tempi, altri miti”) sono scritte sulle mura, in maniera tale che non si possano leggere in modo univoco e lineare, ma è possibile usare una qualsiasi delle parole come inizio, e creare una molteplicità di interpretazioni, tutte altrettanto valide, proprio perché la disposizione nello spazio lo permette. L’intera mostra infatti si pone come una provocazione al fruitore che si presenta nella “comoda”posizione di osservatore-giudice: sono chiamati in ballo tutti i sensi ed è soprattutto richiesta volontà di spogliarsi dei propri preconcetti e stare al gioco dell’artista, che a volte si diverte con il visitatore, chiedendogli di sdraiarsi a terra, accucciarsi o saltare per poter vedere le proprie opere.
La numerazione delle sale non vincola ad una visita “programmata”, poiché, anche in questo senso, il fruitore è chiamato a crearsi un proprio percorso secondo delle associazioni che possono risultargli più adatte e stimolanti. Si incita all’attività, rispetto alla tradizionale passività. La visita è un discorso all’interno del quale ogni elemento si inserisce con il proprio contributo, ed è dunque richiesto anche al fruitore di portare il proprio.

CYPHORIA     
Il nome della sala deriva dall’unione di “cyber” e “dysphoria” (uno stato di insoddisfazione e depressione). “Cyphoria” è un neologismo utilizzato per indicare la condizione di coloro i quali credono che internet sia il mondo reale; in questa sezione espositiva, il termine “dysphoria” viene intesa come la condizione di disagio causata da una vita che viene condizionata dalla tecnologia, un prodotto dell’uomo che, tuttavia, egli non è sempre in grado di gestire fino al punto di esserne sopraffatto.
Image result for quadriennale roma cyphoriaIl curatore Domenico Quaranta invita il fruitore all’interno della sala per coinvolgerlo in una riflessione riguardo il processo di continua evoluzione della tecnologia negli ultimi anni, e su come questa si rifletta nell’arte contemporanea italiana. Centrale è il concetto di evoluzione opposto a quello di rivoluzione. Mentre quest’ultima è concepita come un evento collocato in momento preciso nel tempo, l’evoluzione è intesa come progressivo mutamento e affinamento delle tecnologie, che hanno trasformato in maniera radicale la nostra vita. In questa “nuova” realtà, gli strumenti multimediali come il televisore, il cellulare o il computer, sono ormai dei medium universali di cultura.
La sezione tende a spostare il proprio campo di indagine dalla dimensione privata a quella pubblica e viceversa, in un costante rapporto dialettico volto a cogliere le differenze tra la drammatica realtà privata, vissuta in prima persona dall’individuo, e quella pubblica, destinata al “palcoscenico” del web. L’oggetto di indagine della sala consiste, sostanzialmente, nell’analisi del rapporto che si instaura tra “io” ed il mondo della rete.
L’ambiente che esprime questa analisi sembra essere stato concepito come un grande spazio pubblicitario: il fruitore viene travolto da una “cascata” di informazioni a partire dal suo ingresso, come se ogni opera fosse in competizione con le altre per attirare maggiormente l’attenzione.
Da questa impostazione “pubblicitaria” sembra sfuggire solo l’opera “Laocoon” di Davide Quayola. La sua posizione isolata, al centro dell’ambiente ed in asse con l’ingresso,  accentua la differenza rispetto a ciò che lo circonda: la scultura sembra ergersi come opera contemplativa, a difesa della classicità, intesa come tradizione artistica precedente alla tecnologia. Tuttavia, questo emblema viene modificato ed intaccato nella sua essenza; l’artista tratta il modello antico in maniera tale da farne perdere il significato originario, attraverso una digitalizzazione della forma, sia per quanto riguarda il processo di realizzazione dell’opera- attraverso l’impiego di moderne tecnologie- sia attraverso l’innesto di “costruzioni artificiali” sugli arti, simili ad elementi appartenenti alla tradizione video-ludica e digitale, che bloccano la forza espressiva del modello e  riformulano l’opera in maniera tale da privarla della sua organicità.
Dopo aver evidenziato come sia profondamente mutata la tradizione precedente, al fruitore sono proposte opere, per la quasi totalità, attraverso degli schermi, mezzi che quotidianamente propongono un modello culturale, ed un sistema di pensiero, senza possibilità di replica. Questo indirizzamento del pensiero conduce la società a prendere come modello a cui tendere dei prodotti specifici, indicati dalla pubblicità, come mostrano le opere di Mara Oscar Cassiani e Giovanni Fredi.
Mara Oscar Cassiani mostra come gli elevati standard estetici della nostra società portino ad una ricerca del benessere “frenetica”, per poter limitare gli effetti dello stress al quale si è quotidianamente sottoposti; questa ricerca comporta una mercificazione del mondo del benessere, che rende le Spa degli spazi lussuosi ed esclusivi.
Giovanni Fredi utilizza come medium un “Iphone” prodotto dalla “Apple”, una delle aziende più importanti a livello globale nel settore informatico, emblema dell’oggetto ambito e desiderato per eccellenza. L’artista analizza il bisogno umano di mostrarsi, che si riscontra in modo autentico e genuino, nei “selfies” (autoscatti) realizzati in un “Apple Store” da dei passanti che bloccano sul dispositivo il loro volto; Fredi estrapola dalla memoria del telefono solo alcuni delle migliaia di volti registrati e li ingrandisce fino a dargli un carattere ritrattistico, in tono ironico, dato lo scarso interesse che suscitano questi volti “anonimi”.
Dall’altro lato, la sala  analizza la condizione di isolamento ed estraniamento dell’uomo, causato da questa massiccia digitalizzazione. Il collettivo “Alterazioni Video”, formato da Paololuca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Matteo Erenbourg, Andrea Masu e Giacomo Porfiri, realizza un interno domestico, un salotto, nel quale è presente un televisore che trasmette immagini pubblicitarie di fronte ad un divano con tappezzeria militare, sul quale è steso un manichino (che si riconosce come tale solo da vicino, causando un sentimento di disagio ad una prima vista dell’opera) con la faccia contro il cuscino, quasi spaventato dalla sua stessa televisione, intento a nascondersi da quelle immagini e modelli ripetuti ed ormai stereotipati. La scritta sulla parete “NESSUNA VOGLIA DI ENTRARE NELLA STORIA”, si riferisce alla sentimento di estraneità che si può provare di fronte a questo tipo di realtà.
Queste sono solo alcune delle riflessioni proposte nella sala, che spinge notevolmente il fruitore ad uscire dalla sicurezza legata ad una esperienza museale tradizionale. Questa sezione espositiva parla la nostra stessa lingua, quella tecnologica, con la quale veniamo a contatto tutti i giorni, ma ne evidenzia le criticità e  ne mette in risalto gli aspetti problematici. Proprio per questo punto di vista “altro”, rispetto ad una realtà che si è soliti vivere nel proprio quotidiano, la sala si inserisce a pieno titolo nel grande “discorso” del tema della mostra, e rappresenta punto di partenza stimolante per una riflessione sulla società contemporanea.





Nessun commento:

Posta un commento