La Galleria Nazionale di Roma è la più grande collezione di opere d’arte
contemporanea italiana, con oltre 4.400 opere di pittura e scultura e circa 13.000
disegni e stampe di artisti prevalentemente italiani dall’Ottocento e Novecento.
La direttrice Cristiana Collu ha voluto cambiare il logo ed il nome della Galleria,
abolendo il precedente appellativo di “Galleria Nazionale d’Arte Moderna e
Contemporanea” trasformandolo nel più breve “La Galleria Nazionale”, per
sottolineare l’assenza di confini tra i periodi storici, ed inserire le opere
in un discorso unitario.
Il titolo dell’attuale allestimento “Time is out of joint” è
ripreso dall’ “Amleto” di Shakespeare, nel quale l’espressione indica come il
regolare succedersi degli eventi, secondo la legge, sia stato interrotto
dall’uccisione del padre di Amleto. Proprio l’impossibilità di intendere il tempo in modo lineare e
tradizionale è il tema centrale della Galleria, che sottolinea l’assenza di punti
di riferimento cronologici ordinari ad accompagnare il visitatore nel museo.
Il tempo viene dunque inteso come un flusso, caratterizzato
da scatti, vuoti, fratture e distorsioni, ed è una concezione che accompagna il
visitatore anche fuori dall’esposizione, poiché le informazioni e le immagini a
cui si è esposti nel quotidiano, evidenziano questa assenza di linearità, in
favore del frammento.
Le opere vengono affiancate in base alle relazioni che si
possono instaurare tra loro: si è preferito scegliere l’emozione come criterio
organizzativo, piuttosto che realizzare una tradizionale esposizione
cronologica o organizzata per temi. Attraverso questo sistema si elimina
l’imbarazzo di un eventuale visitatore non consapevole della storia dell’arte,
o degli artisti, di un dato periodo storico permettendo, al tempo stesso, di
comprendere l’opera attraverso un percorso proprio che scavalca la cultura scolastica,
colpendo direttamente i sentimenti. Questa prospettiva, che permette di
esprimersi con un linguaggio più semplice e diretto, pone le basi per aprire le
porte del museo ad un pubblico più vasto.
La parete e lo spazio interno diventano un palcoscenico, un
luogo simbolico dove il tempo disarticolato può manifestarsi, mostrando
collegamenti o fratture in modo quantomeno suggestivo.
L’allestimento, nonostante questa modifica nell’assetto
generale, continua a valorizzare l’opera nella sua singolarità ed unicità; se
da un lato, viene sacrificato la diretta attinenza cronologica, dall’altro,
sono valorizzate le relazioni (parola chiave della mostra) che si possono
instaurare tra epoche diverse. Il discorso che lega le opere presenti in uno
stesso ambiente può essere continuamente rimodellato dal contributo del
visitatore che, grazie all’apparente “disordine” espositivo, si sente libero di
inserirsi in questa rete di relazioni ed interpretarla in modo autonomo. La
direttrice, infatti, ha dichiarato apertamente di non essere interessata a dare
un punto di riferimento al fruitore, che viene invitato a crearsi un proprio
percorso.
In un certo senso, sembra che il progetto alla base
dell’esposizione voglia instaurare un dialogo tra la storia dell’arte intesa in
senso tradizionale, ed un'altra parallela, che trova il suo motivo centrale nella
possibilità di colpire il visitatore direttamente nella sfera delle emozioni.
La sala
dell’Ercole
La sequenza che vede succedersi il “mare” di Pascali, “Ercole
e Lica” di Canova e “Spoglia d’oro su spine d’acacia” di Penone, nella prima
sala, è una delle immagini più suggestive del museo, in relazione alla
possibilità di un accostamento “diverso” delle opere.
Ercole, al centro della sala, viene raffigurato da Antonio
Canova in un attimo sospeso, immediatamente precedente allo sfogo della sua
energia con il lancio di Lica nel mare. Proprio il mare di Pascali viene
collocato in asse con il gruppo scultoreo, in un dialogo che non si limita a
richiamare l’episodio mitico: i protagonisti del gruppo sono riflessi sulla
superficie dell’acqua che funge da “piano-limite” tra la realtà- legata alla singolarità
delle due opere- ed uno dei discorsi suggerito dal progetto curatoriale, volto
a proiettare la scultura nelle profondità marine, ma al tempo stesso
concretamente vicino al visitatore, dato che viene riprodotta al livello del piano
di calpestio.
Alle spalle dell’Ercole si trova una superficie bianca
tempestata di spine d’acacia, che raffigurano nel complesso una bocca con una
lamina d’oro a fior di labbra (sulla cui superficie sono impresse le impronte
dell’artista). Questa antitesi, esistente tra il soggetto estremamente delicato-
le labbra- ed il materiale duro con la quale è realizzata l’opera, può
riscontrarsi nell’Ercole, ma a parti invertite: il momento estremamente
drammatico contrasta con la ricerca di equilibrio dell’artista. Si percepisce
chiaramente l’imponenza e la monumentalità del gruppo, ma la collera dell’eroe
pare essere smorzata dalla necessità di armonia caratteristica del gusto
neoclassico.
Un altro possibile percorso interpretativo può partire dal
tentativo di comprendere la relazione tra
artista ed il soggetto naturale. Confrontando le opere di Klein,
Castellani, Mondrian e Pascali, si può notare come questi, in maniera autonoma
e per ragioni diverse, tentino di descrivere la natura attraverso il filtro di un
sistema razionale che possa descrivere e regolare il mondo naturale.
Klein e Castellani, affrontano il soggetto naturale trattando
il supporto pittorico in modo anticonvenzionale. Klein, indirizzato verso la
rappresentazione della profondità dell’animo umano, mette di fronte allo
spettatore un’opera che porta quest’ultimo alla contemplazione della propria
interiorità, data la piattezza e la profondità del blu sulla tela, facendo
esperire direttamente al fruitore la sua ricerca; Castellani, interessato allo
studio della luce, modula la superficie dell’opera in modo tale che al
cambiamento delle condizioni luministiche, si rimoduli l’opera stessa, in un
processo dialogico continuo con l’ambiente circostante.
In Mondrian è più
evidente l’utilizzo della razionalità come medium tra la realtà concreta e
quella pittorica, attraverso l’adozione di una griglia (caratterizzata dai soli
colori primari, il bianco ed il nero). L’opera
descrive la natura, e nel farlo scende ad un livello più profondo: per questo
il prodotto finale appare incomprensibile e lontano dalla realtà che vuole descrivere, perché non ne descrive
l’esteriorità, ma direttamente la sua essenza.
Anche nel lavoro di Pascali è evidente l’utilizzo di una
griglia volta a racchiudere la vastità del mare in soli 32 mq. “circa”,
all’interno di vaschette contenenti dell’acqua le cui gradazioni di blu
cambiano per suggerire una maggiore o minore profondità. Nonostante l’opera sia
stata concepita in maniera schematica e sia evidente la sua forte
caratterizzazione razionale, la sua stessa struttura la rende estremamente
flessibile e mutevole, aperta ad un infinito numero di combinazioni e
disposizioni nello spazio, allargando le maglie della griglia che la
caratterizza.
L’analisi proposta suggerisce solo alcune delle letture
plausibili in questo primo ambiente che, come gli altri, si presta ad un gran numero
di interpretazioni. Questo ventaglio di possibilità è un indice concreto della
libertà alla quale siamo invitati dalla direttrice, la quale ha modificato in
maniera importante l’assetto tradizionale della visita museale andando incontro
a forti critiche o aperte dichiarazioni di sostegno. Senza entrare nel merito del
giusto o sbagliato, bisogna tenere conto del valore di questa operazione, intesa
a favorire un intervento sempre maggiore del fruitore.
L’operazione della direttrice si muove nella stessa direzione
sperimentata dalla Quadriennale che, attraverso il progetto tracciato dagli
undici curatori responsabili, invita il visitatore ad interagire, e non solo a
contemplare, con le opere che ha di fronte. La sfida per il futuro sarà
sicuramente riuscire a coniugare al meglio questo tipo di esperienza di
carattere emozionale con il linguaggio educativo, per riuscire a comunicare il
più possibile con il pubblico eterogeneo che si presenta alla Galleria.
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